Revocatoria delle rimesse bancarie: lo stato dell’arte
Prendiamo spunto da una sentenza del Tribunale di Udine del 24/10/2012, non recentissima ma ben argomentata, per un breve excursus in materia di revocatoria delle rimesse bancarie.
PREMESSE.
La riforma del 2005 ha notevolmente cambiato la normativa in tema di revocatoria delle rimesse bancarie; da allora le casistiche di revocatoria delle rimesse bancarie sono notevolmente ridotte, così come le Sentenze, soprattutto di Cassazione; il dimezzamento del periodo sospetto da 12 a 6 mesi e la non facile applicazione ed interpretazione della norma hanno contribuito a ciò.
È opportuno evidenziare le differenze con la vecchia normativa e trattare gli spunti dottrinali e soprattutto della giurisprudenza di merito per valutare ed ottimizzare questo strumento.
DIFFERENZE FRA NORMATIVA ANTE RIFORMA E NORMATIVA VIGENTE.
- In relazione ai fallimenti dichiarati a partire dal 17/03/2005 (data di entrata in vigore del D.L. 35/2005) il periodo sospetto si riduce sensibilmente: da 12 mesi a soli 6 mesi.
- Nell’attuale normativa non vi è più la distinzione fra rimesse “solutorie” e “ripristinatorie”, in quanto si fa esclusivamente riferimento soltanto alle rimesse che abbiano ridotto il saldo debitore in maniera CONSISTENTE e DUREVOLE; non rileva quindi la “vecchia” distinzione fra conto scoperto e conto affidato; viene meno quindi il concetto di extrafido o fuori fido.
- L’art. 70 L.F. introduce un limite alla revocabilità delle rimesse nella misura massima del cosiddetto RIENTRO, pari alla differenza fra l’importo massimo a debito del fallito nel periodo sospetto ed il saldo finale alla data di apertura del fallimento.
- L’art. 67 L.F. nella nuova ed attuale normativa pone la questione in senso negativo: non ci dice quali sono le rimesse revocabili; infatti ci dice quali sono le rimesse che non possono essere oggetto di revocatoria: quelle appunto che non riducono in maniera CONSISTENTE e DUREVOLE l’esposizione debitoria del fallito; entrambi i termini sono risultati di difficile quantificazione e risulta difficile tradurli in formule matematiche che possano essere applicabili a tutte le casistiche; si rende necessaria quindi una opportuna valutazione di ogni singolo caso nel giudizio di merito.
LA RIDUZIONE CONSISTENTE DELLE RIMESSE:
La norma della riforma del 2005 introduce due concetti ben precisi: consistente e durevole; la rimessa per essere revocabile deve essere consistente che parte della dottrina indica in rimesse di entità importante quantitativamente ed in termini percentuali in relazione alla entità della esposizione; così il Tribunale di Milano (Sent. 27/03/2008) determina consistente una rimessa che ha di fatto ridotto l’esposizione debitoria nella misura del 10% della differenza fra la massima esposizione ed il saldo finale; anche il Tribunale di Monza (S. 03/09/2008), sulla stessa falsariga, determina la riduzione consistente nella misura percentuale del 7%; in buona sostanza si tende a dare valenza al termine consistente, non in valore assoluto della rimessa, ma in rapporto ed in funzione del saldo della esposizione debitoria del periodo e della operatività del debitore;
si apprezzi il fatto che il Legislatore ha utilizzato il termine RIMESSE al plurale e quindi la consistenza di dette rimesse deve essere apprezzata facendo riferimento alla sommatoria delle stesse ed agli effetti prodotti, piuttosto che alla entità ed alla riduzione del debito per effetto di ogni singola rimessa;
altrimenti, come viene osservato nella Sentenza del Tribunale di Udine del 24/10/2012, una lettura atomistica della norma si presterebbe a stimolare comportamenti elusivi ove la banca, “in odore” di insolvenza del debitore correntista potrebbe influenzare la dinamica del c/c suggerendo alla controparte un frazionamento delle rimesse in entrata ed una certa diluizione temporale delle stesse, con il preciso intento di rientrare nell’esenzione contemplata dalla norma; ovviamente il comportamento del debitore correntista potrebbe essere compiacente magari per effetto di fidejussioni prestate da familiari, parenti, ecc.
LA RIDUZIONE DUREVOLE DELLE RIMESSE
Il concetto di durevole, più che alle singole rimesse deve essere considerato in funzione della riduzione della esposizione; è pacifico che una rimessa seguita da utilizzi di detta a distanza di breve tempo (pochi giorni) non possa considerarsi revocabile in quanto costituisce fisiologica movimentazione dei flussi finanziari del correntista legati alle correnti esigenze di cassa; è altrettanto pacifico che una riduzione definitiva dell’esposizione sia da considerarsi revocabile.
Con l’espressione durevole quindi bisogna verificare di volta in volta che la riduzione dell’esposizione sia “tale da configurarsi come una alterazione della normale alternanza di operazioni in addebito ed in accredito, in modo che successivi nuovi utilizzi, distanziati nel tempo, possano rappresentare in qualche maniera una autonoma concessione di credito.” (Trib. Udine 24/10/2012);
in sostanza il ritmo abituale dei flussi finanziari deve essere alterato per un lasso di tempo sufficientemente lungo affinché la riduzione dell’esposizione sia considerata durevole per poter essere revocabile.
CONCETTO UNITARIO DI CONSISTENTE E DUREVOLE
Parte della dottrina ritiene che il termine consistente non possa essere disgiunto dal termine durevole (endiadi), ma costituisca un “rafforzativo” di quest’ultimo; tale conclusione nasce dal fatto che una visione atomistica delle singole rimesse non possa cogliere nel segno il fenomeno del rientro dall’esposizione debitoria, che spesso ha (graficamente) un andamento graduale e progressivo e non immediato;
tale interpretazione è stata “sposata” e ben argomentata dalla citata Sentenza del Tribunale di Udine del 24.10.2012 che considera “la riduzione dell’esposizione consistente e durevole soltanto nel caso in cui le rimesse non siano state quasi immediatamente neutralizzate da nuovi utilizzi da parte del correntista secondo un normale ritmo di utilizzo del conto; conseguentemente sono da considerare escluse da revocatoria tutte le rimesse alle quali siano riconducibili utilizzi effettuati dal debitore/correntista per esigenze di cassa; tale formulazione conferisce al criterio del massimo scoperto contemplato dall’art. 70 comma 3° (introdotto dall’01/01/2008 con il D.Lgs. 169 del 12.09.2007) un legame ed una migliore comprensione del dettato normativo che limita la revocabilità delle rimesse, di cui al periodo sospetto, alla differenza fra la massima esposizione e l’ammontare residuo alla data di apertura del fallimento, in maniera da evitare che la somma delle rimesse possa così superare il limite determinato dell’effettivo rientro.
CONOSCIBILITA’ DELLO STATO DI INSOLVENZA
La conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte dell’istituto di credito deve essere provata ed essere effettiva e non semplicemente conoscibile;
sicuramente costituisce prova della conoscenza dello stato di insolvenza la presenza di protesti, di ingiunzioni, di precetti, di istanze di fallimento; tuttavia può essere desunta anche da semplici indizi quali per esempio le risultanze dei bilanci in possesso dell’istituto di credito, dai quali emerga un quadro patrimoniale, economico e finanziario che rappresenti una situazione di forte criticità (in tal senso Trib. Udine).
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