Il codice della crisi e dell’insolvenza: un primo sguardo
Il decreto di attuazione della legge delega 155/2017 per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, la cui nascita è sembrata in forse fino all’ultimo momento, è stato consegnato al Ministro il 21 dicembre dell’anno in corso.
Già il titolo, “Codice della Crisi e dell’insolvenza”, segna il cambio di rotta con la vecchia Legge Fallimentare il cui nome, derivante dal latino fallo, fallis, fefelli, falsŭm, fallĕre ovvero ingannare, dava il senso di una norma che, oltre a regolamentare il dissesto, tendeva alla prevenzione e alla punizione dei reati che da tale dissesto potevano provenire.
Il Codice così elaborato disciplina in modo complessivo, unitario e organico tutte le situazioni di crisi e insolvenza; ciò a prescindere dalla natura giuridica del debitore e dal tipo di attività esercitata. Nella natura unitaria del codice vediamo quindi trattate la crisi e l’insolvenza sia degli imprenditori, indipendentemente dalla loro dimensione e dal fatto che siano imprenditori agricoli, piccoli commercianti o artigiani, fino a oggi esclusi dai limiti dimensionali dell’articolo 1 L.F. dall’assoggettamento alla Legge fallimentare, sia quella dei professionisti, dei consumatori e delle società pubbliche
Le grandi escluse dalla trattazione dell’insolvenza sono le società oggetto di disciplina speciale e le grandi imprese assoggettabili all’amministrazione straordinaria, che rimane immutata; esclusione che era già stata evidenziata nella Riforma licenziata dalla Camera.
In questo senso l’innovatività è però costituita dalla trattazione della crisi dei gruppi d’impresa. E, quasi a volersi far perdonare l’assenza dell’insolvenza delle grandi imprese, la trattazione dell’insolvenza dei gruppi d’impresa risuona senza ombra di dubbio dei contenuti e della ratio dei dettami contenuti nella Legge 270/1999, denominata “Prodi bis”.
Il nuovo codice trova ispirazione in quanto indicato dall’Unione Europea (raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione, 12 marzo 2014; regolamento (UE) 2015/848, 20 maggio 2015 del Parlamento europeo e del Consiglio che ha introdotto regole più efficienti per le insolvenze transfrontaliere, contemplando inoltre la disciplina della crisi dei gruppi economici tuttora assente nella nostra legislazione nazionale) e dai princìpi della model law, elaborati in tema di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral). A tali principi hanno aderito molti Paesi anche in ambito extraeuropeo(tra cui gli Stati Uniti d’America) ed il loro recepimento, in regime di reciprocità, consente il riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali emessi nei rispettivi Paesi. Più o meno a tutte le latitudini si sono registrate profonde e frenetiche modificazioni nella legge fallimentare che ha subito un rovesciamento di prospettiva e quindi della sua storica funzione. Il fenomeno è stato efficacemente descritto come un’evoluzione “from a law of morality to a law of continuity”. E proprio dalle indicazioni nascenti della cultura internazionale è nato l’abbandono sopra indicato del termine “fallimento”; da tale terminologia infatti erano nate non poche difficoltà in ambito internazionale nel riuscire a convincere potenziali investitori esteri che i piani di risanamento inseriti nella normativa del 1942 non venissero investiti dalla natura sostanzialmente liquidatoria e punitiva della legge stessa.
Ad accrescere la complessità della riforma vi è poi il momento in cui il diritto cede il passo alle considerazioni economiche, e per la prima volta troviamo in una norma esplicazioni e nozioni di natura aziendalistica ed economica. In maniera innovativa infatti si introducono le nozioni di allerta e crisi; l’insolvenza, come eravamo abituati a vederla, rappresenta per l’impresa l’estrema ratio, una sponda a cui cercare di non arrivare mai.
La procedura di allerta viene introdotta per far emergere tempestivamente lo stato di crisi.
A favore di un sistema di allerta si era già espresso Abbadessa in “Procedure e risanamento nelle procedure concorsuali” p. 719 e ss. Il quale, in riferimento ai pregressi tentativi di riforma aveva sostenuto “… non si può non apprezzare lo sforzo di chi ha tentato di trasformare la prevenzione dell’insolvenza da astratta proclamazione di principio a spinta reale della prassi. Il torto del progetto italiano è di avere semplicemente ignorato il problema…” E anche Caldarelli in “Crisi dell’impresa e insolvenza” p. 101 e ss., dà la definizione degli strumenti dell’allerta “… in un complesso di metodologie dirette a integrare le competenze dell’imprenditore e del management dell’impresa con la predisposizione di un’adeguata vigilanza sui segnali di pericolo per il complesso aziendale, il tutto in una prospettiva di una anticipata manifestazione dell’insolvenza…” . Ecco quindi la necessità di non avere nel nuovo “Codice della Crisi e dell’Insolvenza” unicamente una prospettiva giuridica, visto che già nell’articolo 4 della L. 155/2017 erano inseriti quattro indici, ovvero il rapporto fra mezzi propri e mezzi di terzi, l’indice di rotazione dei crediti, l’indice di rotazione del magazzino e l’indice di liquidità.
Il fatto che la pre-crisi venisse individuata dalla L. 155/2017 mediante l’applicazione di tali indici, comportava delle considerazioni:
- gli indici descritti erano da tempo superati nella dottrina aziendalistica di controllo di gestione. Con l’espressione “analisi di bilancio per indici” si identifica una tecnica di indagine che, attraverso la rielaborazione e lo studio critico dei valori e delle informazioni di bilancio, si prefigge di: comprendere la dinamica della gestione trascorsa, esaminata nella sua interezza o in alcuni suoi aspetti; esprimere un giudizio fondato in merito allo stato di salute dell’unità produttiva analizzata; formulare stime il più possibile fondate circa la presumibile evoluzione futura della dinamica aziendale.
- gli indici indicati non erano in grado di pervenire a tali conclusioni per unanime dottrina aziendalistica, che si è già, peraltro, espressa in tal senso in convegni e riviste;
- se fossero stati presi tali indicatori quale misura della pre-crisi d’impresa, probabilmente più del 70% delle imprese italiane dovrebbero essere considerate in pre-crisi.
Di conseguenza l’articolo 16 del Codice è stato così elaborato:
“Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore e rilevabili attraverso appositi indici, con particolare riguardo alla sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi ed alle prospettive di continuità aziendale, nonché l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti, tenuto conto anche di quanto previsto nell’articolo 27.
- Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al primo comma che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa.”
E all’articolo 27:
“Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’articolo 28, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva se egli propone una domanda di accesso ad una delle procedure concorsuali regolate dal presente decreto oltre il termine di sei mesi, ovvero l’istanza di cui all’articolo 22 oltre il temine di tre mesi, a decorrere da quando si verifica, alternativamente:
“ a) l’esistenza di debiti per salari e stipendi scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà del monte salari complessivo;
- b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- c) il superamento nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati ai sensi dell’articolo 16, comma 2.”
Si ritiene però che i nuovi, più ampi e moderni parametri per poter indagare in modo più efficace ed efficiente lo stato delle imprese gettino sul nuovo Codice l’ombra di concetti espressi in ultra delega.
Per quanto riguarda invece lo stato di crisi, questo viene definito “probabilita’ di futura insolvenza”; pertanto, lo stadio antecedente l’insolvenza della quale resta ferma e valida la nozione d’insolvenza ex art. 5 Regio Decreto 16 marzo 1942 n.267. Secondo la definizione data nel Codice, si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.
Anche l’introduzione nel nostro ordinamento dello stato di crisi è avvenuta sulla spinta della normativa dell’Unione Europea, come indicato nella raccomandazione 2014/135/UE intitolata “Raccomandazione della Commissione Europea su un nuovo approccio al fallimento dell’impresa e dell’insolvenza” il cui obiettivo e’ garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, l’accesso a un quadro legislativo che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale.
Anche in questo caso sembra di ravvedersi una normazione ultra delega rispetto a quanto scritto nella L. 155/2017.
2 – Il Codice è composto di nove Titoli e 362 articoli, che raggruppano le regole che erano contenute nella legge fallimentare e nella disciplina del sovraindebitamento, partendo dai principi generali della crisi, affrontando le procedure cosiddette “minori”, trattando la fase della crisi ancora reversibile fino all’insolvenza e alla liquidazione giudiziale.
Titolo I, art. 1-14 quater. Vi sono compresi i principi generali della materia. Vi si ravvedono da una parte la conferma del miglior soddisfacimento dei creditori, come già indicato nella normativa del 1942, a cui si affianca però il principio ispiratore della riforma che è quello del superamento della crisi assicurando la continuità aziendale; ciò che conta è la sopravvivenza dell’impresa e in questo senso si presume che la rivelazione tempestiva della crisi salvaguardi la salvezza dei principi di economicità e per superare la fase critica si mira a incentivare lo strumento di soluzioni concordate con tutti o parte dei creditori. La procedura liquidatoria è una estremo ratio alla quale accedere solo se risulta la più percorribile e proficua per il soddisfacimento dei creditori.
Titolo II, art. 15-18. In questo gruppo di articoli si tratta dell’allerta e della composizione della crisi. Rifacendosi a quanto scritto nel capoverso precedente, in questi quattro articoli troviamo la grande innovazione che da tempo era indicata nella riforma, nonché l’evoluzione di un diritto che implica conoscenze di carattere aziendalistico quali il controllo di gestione e l’analisi di bilancio. Non è così banale precisare l’esigenza delle particolari conoscenze; infatti a seguito dell’introduzione di questo istituto, sarà fondamentale in chi opererà professionalmente nelle procedure concorsuali acquisire una conoscenza che esula il diritto. In questo senso sarà opportuno che molti avvocati che si vogliono avvicinare alla materia, così come i commercialisti che hanno avuto incarichi in vigenza della Legge Fallimentare del 1942, cambino la loro mentalità e acquisiscano specifiche competenze, poichè in questi articoli si pongono le radici del generale concetto della necessità della continuità d’impresa.
Art. 19-28. La riforma introduce quanto precedentemente indicato nell’articolo 4 della L. 155/2017: l’OCC, la costituzione del collegio, gli oneri di segnalazione in capo a soggetti interni ed esterni all’impresa con i nuovi obblighi per gli organi sociali, la figura del Pubblico Ministero all’interno delle procedure concorsuali e le misure premiali.
Titolo III art. 29-36. Vi si tratta la Giurisdizione Concorsuale, con l’indicazione della competenza territoriale dei tribunali, dei conflitti di competenza e della salvezza degli effetti
Art. 37-40. Si introduce l’istituto della liquidazione giudiziale, che in qualche maniera rappresentata la continuità con l’istituto del Fallimento e rappresenta l’estrema ratio dell’insolvenza d’impresa.
Art. 41-59. Questa è la parte dove si comincia a parlare dell’accesso alle procedura concorsuali. Vediamo reintrodotti gli istituti del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione del debito, con i relativi reclami, impugnazioni e revoche. Contrariamente a quanto si pensava, e forse anche in questo caso in area ultra delega, il concordato preventivo non è esclusivamente quello in continuità. Vi sono infine trattate le misure cautelari e protettive a salvaguardia degli istituti introdotti.
Titolo IV art. 60-68. In questo gruppo di norme si dettagliano gli istituti dei piani attestati di risanamento e degli accordi di ristrutturazione che trovano finalmente una disciplina organica e autonoma, configurandosi come i due istituti che dovrebbero/potrebbero avere uno degli sviluppi più interessanti.
Art. 69-88. Viene disciplinata la materia precedentemente trattata dalla L.3/2012. Rispetto a quanto indicato nella normativa precedente, i piani vengono distinti e dettagliati in maniera differenziata. Il Piano del Consumatore rappresenta la prima parte, a cui segue il Concordato Minore che prende il posto del precedente Accordo del Debitore, per concludersi con la procedura di Liquidazione. La materia viene quindi ripulita delle confusioni linguistiche che caratterizzavano la norma precedente e acquista una sua organicità e autonomia, con la medesima ratio dell’intero corpo normativo, ovvero la salvaguardia del concetto di continuità.
Art. 89-125. Del concordato preventivo. In contrapposizione alla struttura della Legge del 1942, il Concordato Preventivo diventa l’istituto principe della riforma, anteposto alla Liquidazione assimilabile al precedente istituto del fallimento; ciò in coerenza agli obiettivi generali di prevenzione dell’insolvenza e della crisi. Questo istituto viene dettagliatamente e direttamente disciplinato, senza alcun rinvio alla normativa della Liquidazione o alla precedente normativa del fallimento e soprattutto senza alcun punto di contatto con il concordato fallimentare. L’ampliamento della normativa alla più diffusa variante liquidatoria, purché connotata da un “apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori”, come già indicato dall’art. 6, comma 1, lett. a) della L. 155/2017 e dall’art. 89, co. 4 del Codice, (che quantifica tale misura nel “dieci per cento”), risulta alla scrivente corretta, anche se in possibile area di ultradelega, come già scritto. Si riafferma il principio che il concordato con continuità aziendale può configurarsi anche in ipotesi di continuità indiretta. E nel Codice si considera continuità indiretta la gestione dell’azienda in esercizio in capo a soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente alla presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo.
Non è richiesto quindi, come nella vigente legge del 1942, che la proposta concordataria assicuri il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari. La normativa precisa inoltre che anche nell’ipotesi liquidatoria non è esclusa la possibilità del concordato in continuità; ciò però a condizione che i creditori, citando espressamente la norma, “… vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino”.
Nel gruppo normativo viene altresì chiarito l’esercizio delle azioni di responsabilità nel concordato preventivo. In caso di cessione dei beni il liquidatore è legittimato a esercitare o proseguire se pendente l’azione sociale di responsabilità, restando, come cita la norma “…inopponibile nei confronti del liquidatore e dei creditori sociali l’esclusione dalla cessione da parte della società concordataria dell’azione sociale di responsabilità”. Prosegue poi la dizione normativa dichiarando che “…rimane ferma, in ogni caso, anche in pendenza della procedura e nel corso della sua esecuzione, la legittimazione di ciascun creditore sociale a esercitare o proseguire l’azione di responsabilità prevista dall’articolo 2394…”. Nel gruppo normativo viene poi annullato il dettame dell’articolo 2446 CC.
Titolo V, art. 126-287. La liquidazione giudiziale. Le norme senza ombra di dubbio risentono dei contenuti della normativa del 1942. Figure analoghe a quanto trattato nella vecchia normativa fallimentare e analoghi istituti vi vengono rappresentati. Dalla lettura di questo esteso gruppo di articoli si vive la sensazione che la procedura liquidatoria, che nella previsione della Riforma avrebbe dovuto rappresentare un regime marginale poiché non volto alla continuità d’impresa, sia invece vissuto dal legislatore come un istituto necessario, al quale poche novità sono state apposte rispetto alla precedente normativa. Le novità principali sono sicuramente quelle del Concordato Liquidatorio Giudiziale, che rappresenta il vecchio concordato fallimentare e che potrà essere presentato anche dal debitore o da società del medesimo gruppo, “…dopo il decorso di un anno dalla sentenza che ha dichiarato l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale…”, ma “…solo se preveda l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento…”; e la disciplina della liquidazione del sovraindebitato non consumatore che traccia però un minimo di ambiguità rispetto all’istituto trattato dall’ultimo articolo del gruppo di norme riferite al sovraindebitamento. A chiusura del piano normativo si ritrova l’istituto dell’esdebitazione.
Titolo VI, art. 288-293. Disposizioni relative alla crisi dei gruppi di imprese. La nuova disciplina pone le premesse per un coordinamento di quanto avviene alle varie società in crisi o insolventi interne a un gruppo non insolvente. Il chiaro obiettivo del legislatore è valorizzare e salvaguardare una visione unitaria del gruppo, che permetta di affrontare in modo più efficiente il dissesto che coinvolge un’impresa economicamente unitaria, rispetto al buon andamento del gruppo, che deve essere non solo assolutamente tutelato nella logica della continuità aziendale, ma anche trattato affinchè la risoluzione della problematica di insolvenza della singola impresa salvaguardi il totale panorama di risanamento aziendale.
Nel concordato di gruppo si prevede unitarietà degli organi con la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale, la possibilità di depositare un piano unitario di risoluzione della crisi del gruppo con un unico fondo spese, all’interno del quale potranno essere contemplate “operazioni contrattuali e riorganizzative intragruppo funzionali alla continuità aziendale e al migliore soddisfacimento dei creditori.
Titolo VII, art. 294-317. Le liquidazioni coatte amministrative. Anche per questo gruppo di norme prevale la ratio che già trovavamo nelle leggi precedenti. Tant’è vero che nell’articolo 295 del Codice si legge: “….La liquidazione coatta amministrativa delle imprese di cui all’articolo 294, comma 1, lettera a) è disciplinata dalle disposizioni contenute nelle leggi speciali ad esse applicabili. 2.I rinvii previsti al regio decreto 16 marzo 1942, n.267 si intendono fatti alle disposizioni del presente Codice della crisi e dell’insolvenza e secondo le norme di coordinamento…”
Titolo VIII, art. 318-338. Rapporti con le procedure penali. In questo Titolo si regolamentano le fattispecie penale che preesistono alla procedura concorsuale e se ne delineano le evoluzioni alla luce dell’apertura della procedura.
Titolo IX, art. 339-362. Le disposizioni penali. Nella chiusura del Codice ritroviamo i reati penali che già a suo tempo hanno caratterizzato le procedure concorsuali.
In linea di massima il codice rappresenta uno sforzo encomiabile di riunificare, rendere unitaria e omogenea la materia. Si notano però alcune pecche che facilmente potranno creare un successivo problema di armonizzazione al momento di una futura trattazione; si pensa fondamentalmente ai privilegi, che mancando creano un vuoto relativo ai riparti delle procedure.
Sembra poi che alcune categorie professionali, storicamente preposte alla gestione delle procedure, siano state cancellate; nelle qualifiche dei soggetti indicati per le procedure si parla oggi di obbligo di iscrizione al registro dei Gestori della Crisi del Ministero di Grazia e Giustizia e l’iscrizione al registro dei Revisori.
MARIA LUCETTA RUSSOTTO
Università degli Studi di Firenze
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