L’eccezione di prescrizione dei crediti tributari nel fallimento

Ovvero, come contestare la prescrizione delle cartelle esattoriali in sede di stato passivo

Con la sentenza n. 34447 del 27/12/2019, le SS.UU. della Cassazione sono intervenute nuovamente sull’annosa questione di quale sia, in sede di ammissione al passivo del fallimento, il giudice competente ad esaminare la prescrizione del credito tributario intervenuta successivamente alla notifica delle cartelle esattoriali. La S.C. ha completamente ribaltato il precedente orientamento consolidatosi con le sentenze sempre delle SS.UU. n. 23832 del 19/11/2007 e n. 14648 del 13/06/2017.

Nell’articolo che segue:

  1. illustreremo un breve excursus storico sugli orientamenti della giurisprudenza di legittimità;
  2. esamineremo le conseguenze sulla prassi fallimentare;
  3. individueremo (se possibile) i termini della prescrizione in  ambito tributario;
  4. illustreremo il possibile comportamento del curatore in sede di verifica dello stato passivo.

1. La breve ma veridica storia dell’eccezione di prescrizione

Come noto, in sede di ammissione al passivo dei crediti tributari, il Curatore può presentare varie eccezioni: una di queste è la prescrizione del credito, realizzatasi successivamente alla notifica della cartella di pagamento (ad es. fallimento 2020, cartella portante crediti IRES notificata alla società in bonis nell’anno 2008).

Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale consolidato riteneva che:

  1. TUTTE le controversie aventi a oggetto i tributi di ogni genere e specie, inerenti sia all’an sia al quantum del tributo, sono di competenza delle Commissioni Tributarie, (ex art. 2 del D.Lgs. 546/92). Restano esclusi da tale competenza esclusiva gli atti dell’esecuzione tributaria (Cass. 23832/2007).
  2. se il Curatore eccepisce la prescrizione dei crediti tributari successiva alla notifica della cartella di pagamento, la giurisdizione sulla controversia spetta al giudice tributario, e conseguentemente il credito deve essere ammesso ex art. 88 l.f. con riserva al passivo fallimentare (Cass. 14648/2017) e deve essere attivato il contenzioso di fronte alla Commissione Tributaria competente.

Tutto chiaro o quasi, perché le citate sentenze non indicano quale sarebbe l’atto da impugnare di fronte alla Commissione Tributaria (l’estratto di ruolo? la domanda di ammissione al passivo? il verbale di stato passivo?) ed entro quali termini. In ogni caso, a questo punto tutto appare superato.

Ma perché la Cassazione ha completamente rivisto la propria posizione?

1.1. L’intervento della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 114/2018 (intervenuta sulla illegittimità dell’art. 57 del DPR 602/73), ha sancito che gli atti dell’esecuzione tributaria successivi alla notifica della cartella sono di competenza del giudice ordinario.

In particolare:

  • le controversie inerenti l’an ed il quantum del tributo restano di competenza esclusiva del giudice tributario e, in genere, tutte le questioni in genere attinenti la validità dell’atto su cui si fonda la riscossione (avviso accertamento esecutivo, cartella di pagamento, ruolo, ecc.) sono sempre devolute alle Commissioni tributarie;
  • invece, le contestazioni diverse che si verificano successivamente alla notifica della cartella, per cui si contesta la validità dell’azione coattiva esattoriale (l’avvenuto pagamento, la prescrizione, ecc.) sono devolute al giudice ordinario.

1.2. La sentenza n.  34447/2019

Le Sezioni Unite, con la citata sentenza 34447/2019, si sono adeguate al dettato della Corte Costituzionale.

Pertanto, la notifica della cartella segna lo spartiacque della giurisdizione: sono devoluti al giudice ordinario i fatti successivamente intervenuti che estinguono, modificano o impediscono il diritto di credito tributario (che ormai si è cristallizzato nella cartella), oppure i casi di inefficacia del titolo su cui sia fondato il credito o la relativa prelazione.

2. Le conseguenze sul fallimento

E’ ben evidente l’impatto sul fallimento. La citata sentenza ne riporta espressamente il principio:

ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario.

In virtù del nuovo orientamento giurisprudenziale il G.D. decide autonomamente per quelle questioni che prima erano di competenza esclusiva del giudice tributario e per le quali si aveva l’ammissione con riserva. Adesso, per tutti i fatti successivi alla notifica della cartella che portano alla estinzione o modifica del credito tributario (avvenuto pagamento, rottamazione, prescrizione, ecc.) è il Giudice Fallimentare che decide.

2.1. Le eccezioni del Curatore

In definitiva, nell’esame della domanda di ammissione dell’agente della riscossione e conseguentemente nella predisposizione del progetto di stato passivo il Curatore può eccepire:

  • i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere;
  • l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione.

Ma, attenzione! questo riguarda tutti quei casi in cui il credito tributario è portato da una cartella notificata alla società in bonis e che alla data di fallimento risultava ormai cristallizzata (cioè non impugnata nei termini).

Ovviamente, l’Ente creditore potrà provare l’avvenuta interruzione della prescrizione, dimostrando di aver effettuato successive notifiche (intimazioni, lettere di diffida, ecc,) o di aver eseguito atti interruttivi (ad es. pignoramento).

Sarà poi il Giudice fallimentare a decidere.

2.2 Attenzione alla differenza tra prescrizione e decadenza

Occorre porre particolare attenzione ai casi di prescrizione del credito rispetto a quelli di decadenza dell’azione tributaria.

La prescrizione di che trattasi si realizza con il trascorrere di un determinato lasso di tempo dalla notifica della cartella di pagamento ormai divenuta definitiva (e non interrotta da successivi eventi) ed è di competenza del G.D..

Diverso, il caso in cui si voglia contestare la decadenza di una cartella o di un altro atto che alla data di fallimento erano ancora impugnabili (e quindi non definitivi) o che vengono notificati direttamente al Curatore – ad es. contestazione sui termini dell’accertamento, sulla tardività nella iscrizione a ruolo, sulla tardività nella notifica della cartella, ecc.. Ebbene, in queste ipotesi, si ricade sempre nella vecchia fattispecie, nel senso che la relativa controversia rientra sempre nella giurisdizione del giudice tributario, per cui si avrà l’ammissione con riserva al passivo ed il ricorso in Commissione.

Attenzione, perché il ricorso in Commissione andrà effettuato nei termini di legge decorrenti dalla notifica dell’atto da impugnare.

3. La prescrizione

Affrontiamo, adesso, le problematiche che si presentano in merito alla prescrizione.

3.1. Quali sono i termini di prescrizione?

  • Imposte erariali: 10 anni
  • Imposte locali: 5 anni
  • Contributi previdenziali ed assistenziali: 5 anni
  • Contravvenzioni CdS: 5 anni
  • Bollo auto: 3 anni
  • Diritti CCIAA: 10 anni
  • Sanzioni amministrative: 5 anni (Art. 20, co. III, del D.Lgs. 472/1997)
  • Interessi: 5 anni (art. 2948, co. I, n. 4)

La questione però è controversa, perché nelle varie leggi d’imposta non è previsto alcun termine, salvo rare eccezioni: 3 anni per il bollo auto, 5 anni per i contributi previdenziali ed assistenziali.

La posizione dominante fino ad alcuni anni fa era quella che prevedeva 10 anni per i crediti erariali e 5 anni per i tributi locali.

  • Questo in virtù del disposto dell’art. 2948 n. 4) c.c. “si prescrivono in cinque anni gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”
  • per i tributi erariali (IRPEF, IRES, IRAP, IVA) non sarebbe applicabile la prescrizione breve  di 5 anni, atteso che detti tributi non possono considerarsi prestazioni periodiche, ma derivano da valutazioni fatte per ogni anno sulla sussistenza dei presupposti impositivi (Cass. 4283/2010). Quindi, mancando una espressa previsione di legge, risulta applicabile la prescrizione decennale dell’art. 2946 c.c.;
  • invece, per i tributi locali è riconoscibile la caratteristica di prestazione periodica, per cui deve applicarsi i termini di prescrizione breve;
  • diverso il caso, di crediti tributari che derivano da sentenze passate in giudicato, in quanto si applica ex lege la prescrizione decennale ex art. 2953 c.c..

3.2. Le SS.UU. 23997/2016

Tuttavia, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 23397/2016, sono intervenute nuovamente sul tema dei termini prescrizionali provocando un certo sconquasso.

Le SS.UU. erano chiamate a decidere se il disposto dell’art. 2953 c.c. (che converte la prescrizione quinquennale in decennale) fosse applicabile tout court a tutti i casi di notifica di cartelle di pagamento. La Corte ha concluso la sua lunga disamina con l’affermazione di alcuni principi di diritto così riassumibili:

1) la mancata opposizione alla cartella di pagamento, produce solo l’effetto sostanziale della “cristallizzazione” del credito, ma non produce l’effetto di “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale [occorre tenere presente che la Corte interveniva in una questione di credito contributivo per il quale vi è una prescrizione ex-lege di 5 anni];

2) tale effetto si ha, invece, nel caso in cui la cartella derivi da titolo giudiziale – di solito sentenza – divenuto definitivo, in quanto la cartella è un atto amministrativo privo dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Pertanto, quando la cartella deriva da sentenza passata in giudicato la prescrizione è sempre decennale;

3) tali principi riguardano TUTTI gli atti di riscossione mediante ruolo o coattiva degli enti previdenziali, ma anche per tutti i crediti relativi ad entrate tributarie ed extratributarie, dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, ivi comprese le sanzioni amministrative, ecc.;

4) “con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo“.

3.3. Impatto della SS.UU. 23997/2016 sul contenzioso tributario

Ma cos’è successo?

In molti casi il principio riportato al punto n. 4) è stato letto solo nella seconda parte, ovvero che la prescrizione è sempre quella breve salvo che il credito non derivi da sentenza definitiva. Tuttavia, il principio enunciato è chiarissimo: “qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria“. Per cui nei casi in cui è prevista la prescrizione ordinaria, continua ad applicarsi questa. La sentenza è relativa alla conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario ex art. 2953 c.c., che appunto si realizza solo per le sentenze definitive; ma quando il termine di prescrizione è già quello decennale, questo resta immodificato.

Di fatto, dalla sua pubblicazione, questa sentenza ha iniziato ad essere richiamata in molteplici sentenze delle Commissioni Tributarie, ma anche della medesima Cassazione, che hanno concluso per la prescrizione breve di 5 anni per TUTTI i crediti tributari (Cass. n. 930/2018, n. 30362/2018, n. 5577/2019).

Vds. ad esempio CTR Toscana 355/2020 dove si legge “La Cassazione, da ultimo a Sezioni Unite con la sentenza n. 23397 depositata in data 17.11.2016, ha definitivamente stabilito che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni etc.) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo”. 

Non sembra che tale approccio sia condivisibile, se ne segnala comunque la diffusione sempre più capillare.

Tuttavia, pare opportuno ricordare la lezione della Corte Costituzionale, di cui si riportano le parole: “non essendo consentito, dall’art. 24 della Costituzione, lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole” (C.Cost. 280/2005).

Purtroppo, il legislatore ha fatto orecchie da mercante di questo monito!

3.4. Da quando decorre la prescrizione?

Anche in questo caso, la questione è controversa.

Da un lato, c’è chi ritiene come l’Agenzia delle Entrate (ma anche parte della giurisprudenza) che si debba cominciare a contare da quando si abbia la definitività del rapporto, ovvero da quando decade il termine per impugnare la cartella.

Dall’altro, chi ritiene che si debba far riferimento alla data di notifica della cartella (vds. Cass. Ord. 3990/2020).

4. L’eccezione di prescrizione nel progetto di stato passivo

In definitiva, si può concludere che si viene a modificare il comportamento del Curatore di fronte alla possibile prescrizione di crediti tributari e contributivi portati da cartelle esattoriali, che troppo spesso era silente in considerazione dell’inutilità e della difficoltà di attivare un contenzioso tributario per vedere dichiarare prescritti importi magari modesti.

Passaggi significativi:

– le cartelle di pagamento saranno state notificate alla società in bonis (in mancanza di altri documenti, si farà riferimento alla data indicata nell’estratto di ruolo);

il termine di prescrizione dovrà essere trascorso alla data di fallimento (personalmente farei riferimento alla data di notifica della cartella e non al successivo termine di impugnazione della stessa);

– in caso di cartella comprensiva di più voci di imposta ed accessori si dovrà fare riferimento al singolo tributo, sanzione o interesse che risulta prescritto;

l’eccezione di prescrizione va formulata nel progetto di stato passivo, con esatta indicazione delle cartelle prescritte o delle singole voci contestate, in modo da consentire all’Ente della riscossione di presentare osservazioni oppure di opporsi allo stato passivo;

– l’A.E.-Riscossione (o altro Ente) potrà formulare osservazioni al progetto per contestare le conclusioni del Curatore o magari produrre documentazione che dimostri l’avvenuta interruzione dei termini della prescrizione;

– il G.D. potrà decidere autonomamente su tale eccezione;

– l’Ente della riscossione potrà eventualmente opporsi allo Stato Passivo.

Rischi dell’operazione

In fase di formazione del progetto di stato passivo, il Curatore ha in mano pochissimi documenti ed informazioni: spesso solamente l’estratto di ruolo notificato in allegato alla domanda di insinuazione di A.E.-Riscossione. Pertanto, può fare riferimento solamente a quanto sopra riportato.

Tuttavia, sussistono vari strumenti per interrompere la prescrizione e quindi azzerare i termini e ripartire il conto dei giorni daccapo: ad es. l’intimazione di pagamento, la lettera di diffida o di messa in mora, il preavviso di fermo, il preavviso di ipoteca, il pignoramento.

Per cui si corre fondatamente il rischio che si realizzi una situazione di questo genere:

  • il Curatore contesta la prescrizione;
  • l’A.E. non fa in tempo a presentare osservazioni in sede di Stato Passivo;
  • il G.D. non ammette il credito tributario al passivo;
  • l’.A.E.-Riscossione presenta opposizione allo stato passivo presentando i documenti relativi ad una delle qualsiasi ipotesi di interruzione.

In sostanza, si darebbe vita solamente ad un’attività inutile ed onerosa; basti considerare la complicatezza dei ricalcoli dei crediti portati da cartelle esattoriali, tra aggi da trasferire in chirografo ed altre somme eventualmente da contestare. Con l’unico successo di trovarsi poi in un’attività contenziosa (l’opposizione allo stato passivo), in procedure con attivo nullo o insufficiente.

MC

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