Note di credito IVA verso procedure concorsuali: storia di un abuso

Come noto il cd. Decreto Sostegni-bis (più precisamente l’art. 18 del DL 73/2021) ha introdotto delle modifiche importanti all’art. 26 del decreto IVA (DPR 633/72), in merito alla possibilità di emettere le note di credito e di portare in detrazione l’IVA per operazioni non riscosse nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali.

La nuova disciplina dell’art. 26 prevede che per recuperare l’IVA non si debba più attendere l’esito infruttuoso delle procedure concorsuali. La rettifica può (e deve) essere operata sin dall’apertura della procedura.

Sfortunatamente la nuova disciplina si applica dal 26 maggio 2021, ovvero alle procedure aperte a partire da quella data. SI fa riferimento a sentenza di fallimento, ammissione del concordato preventivo, omologa accordi di ristrutturazione. E per le procedure aperte precedentemente? Continua ad applicarsi la vecchia disciplina.

L’Agenzia delle Entrate è intervenuta sull’argomento con la Circolare 20/2021, molto ben dettagliata ed esaustiva sulla nuova disciplina. Tuttavia, omette di affrontare una parte fondamentale della questione. Ma andiamo con ordine.

 1. La disciplina Comunitaria

L’IVA è una imposta comunitaria per la quale sono state emesse varie Direttive succedutesi nel tempo, alle quali gli Stati Membri devono conformarsi. L’attuale Direttiva è la 2006/112/CE.

Per quel che ci interessa, occorre rammentare due principi che ne costituiscono i fondamenti:

  • il principio di neutralità dell’IVA. Il soggetto passivo è un collettore d’imposta per conto dello Stato, per cui non dovrebbe mai rimanere gravato dell’onere dell’imposta dovuta o pagata. In altre parole, “l’amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo dell’IVA un importo superiore a quello percepito dallo stesso soggetto passivo al medesimo titolo” (sentenza Goldsmiths C-330/95). L’IVA grava sui consumatori finali e non sui soggetti economici interposti;
  • il principio di proporzionalità. I mezzi impiegati per l’attuazione della direttiva devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti e non devono eccedere quanto è necessario per conseguirli. Pertanto, nel caso di specie, nell’ipotesi di mancato pagamento, ogni Stato membro dovrebbe adottare la soluzione meno invasiva per il contribuente per recuperare l’imposta.

Il principio di neutralità si estrinseca nell’art. 90 della Direttiva 2006/112/CE:

“1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1”.

Ed è sulla base del secondo comma che vari paesi comunitari (tra cui anche l’Italia) hanno introdotto discipline che poi si sono rivelate in contrasto con la Direttiva, atteso che impedivano di fatto il rispetto del principio di neutralità.

La Corte di Giustizia è, infatti, intervenuta più volte per stabilire la portata di detta deroga. In particolare si segnalano le sentenze C-246-16 (che ha condannato Italia e Regno Unito) e la C-146-19 (Slovenia).

 2. La giurisprudenza

2.1 La sentenza “Di Maura” C-246-16

Con tale sentenza la Corte di Giustizia ha espressamente sancito che la “vecchia” disciplina dell’art. 26 del DPR 633/72 (adesso sostituita dal DL Sostegni-bis) è in contrasto con la Direttiva comunitaria. “uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni”. In altre parole, la legge italiana non può subordinare il recupero dell’IVA non riscossa alla chiusura di procedure concorsuali che possono durare così a lungo nel tempo.

Nelle motivazioni la sentenza esprime (direi nuovamente) dei concetti molto importanti, di cui mi limito a riassumerne alcuni:

  • le eccezioni ai principi (in questo caso la neutralità e la proporzionalità) devono essere interpretate in maniera restrittiva;
  • la suddetta facoltà di deroga mira unicamente a permettere agli Stati membri di combattere l’incertezza legata alla riscossione delle somme dovute. Non può tramutarsi nell’impossibilità di procedere alla riduzione dell’IVA in caso di definitivo non pagamento;
  • [IMPORTANTE]: sarebbe sufficiente che il soggetto passivo segnalasse “l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque. Spetterebbe quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile”.

1.2 La sentenza “SCT” C-146-19

I Giudici hanno sanzionato la Slovenia (ma indirettamente anche l’Agenzia delle Entrate che ha sempre sostenuto questa prassi) stabilendo che non è necessaria l’insinuazione nella procedura fallimentare per poter detrarre l’IVA non riscossa[1]. Il soggetto passivo deve semplicemente dimostrare che l’importo non sarebbe stato riscosso alla conclusione del procedimento. Quel che rileva principalmente in questa sentenza sono i principi enunciati nel corpo della stessa:

  • uno Stato membro deve permettere la riduzione della base imponibile dell’IVA qualora il soggetto passivo possa dimostrare che il credito da egli vantato nei confronti del suo debitore presenta un carattere definitivamente irrecuperabile (richiamando ordinanza 24/10/2019 C-292/19 non pubblicata)
  • il giudice nazionale deve, in virtù dell’obbligo che gli incombe di adottare tutte le misure idonee a garantire l’esecuzione di tale disposizione, interpretare il diritto nazionale in senso conforme a quest’ultima, ovvero, qualora una siffatta interpretazione conforme non sia possibile, disapplicare qualsiasi normativa nazionale la cui applicazione porti ad un risultato contrario alla disposizione in parola [altro principio cardine del diritto comunitario]

1.3 La Cassazione 25896/2020

Finalmente si è svegliata anche la S.C., che (ed è un parere personale) spesso si ostina ad ignorare la normativa comunitaria ed i suoi principi, sebbene in materia di IVA il diritto comunitario sia inderogabile. Inoltre, come ricordato dalla C-146-19 prima citata il giudice nazionale DEVE:

  1. INTERPRETARE il diritto nazionale in senso conforme a quello comunitario;
  2. se non è possibile, DISAPPLICARE la normativa italiana ed applicare il diritto comunitario.

A prescindere dal caso specifico, nelle motivazioni di detta sentenza si ha un richiamo specifico della sentenza C-246-16 di cui vengono riportati testualmente i passaggi più significativi [2] e del principio che è sufficiente una probabilità ragionevole per consentire al creditore di recuperare l’IVA non riscossa.

 3. La nuova disciplina delle note di credito nell’art. 26

Il legislatore nazionale era già intervenuto, per risolvere la problematica con la legge di stabilità del 2016 (L. 208/15) che introduceva una disciplina analoga a quella del DL Sostegni-bis, a partire dalle procedure aperte dopo il 31/12/2016. Di fatto, la norma non è mai stata operante perché abrogata prima della sua entrata in funzione.

Come anticipato, la nuova disciplina prevede la possibilità di emettere le note di credito per mancata riscossione in tutto o in parte del corrispettivo sin dall’apertura della procedura concorsuale del debitore.

Non è questo il luogo di approfondire la nuova disciplina, per la quale rimando ad uno dei tanti articoli usciti in materia ed alla Circolare-20-2021 che risulta molto chiara. Vi invito magari a porre molta attenzione a due aspetti:

I termini

Occorre fare particolare attenzione, perché con la nuova normativa i termini ultimi per l’emissione delle note di credito e per il diritto alla detrazione. Possono essere molto ristretti ed una volta  superati il creditore rischia di perdere ogni diritto.

Cosa deve fare il Curatore

Il curatore, o la società in concordato o con accordo di ristrutturazione, che ricevono le note di credito IVA non le devono registrare (vds. tra l’altro interpello 113/2018. In poche parole con la nota di credito si va a modificare la situazione IVA ante-procedura che risulta per così dire stralciata dalla procedura stessa). La loro posizione IVA non si modifica, non subiscono alcun danno dall’operazione. La posizione creditoria/debitoria nei confronti del Fisco cambia solo ed esclusivamente per il creditore che emette la nota.

Decorrenza della nuova disciplina

La nuova disciplina si applica solamente alle procedure concorsuali avviate a partire dal 26 maggio 2021.

E per quelle precedenti? Continua ad applicarsi la disciplina previgente del “vecchio” articolo 26 DPR 633/72: sarà necessario attendere l’esito infruttuoso delle procedure per poter emettere le note di credito in diminuzione.

 3. Ancora la “vecchia” disciplina per le procedure ante 26 maggio 2021?

Si è creata una situazione a dir poco surreale per cui, per un fallimento dichiarato il 25 maggio 2021 bisogna attendere la chiusura della procedura per recuperare l’IVA non riscossa. Viceversa, per un fallimento dichiarato il giorno successivo 26 maggio 2021 è possibile procedere subito al recupero dell’iva. E’ ben evidente che si crea una disparità di trattamento per situazioni analoghe che stride con i principi costituzionali, argomento su cui non voglio certamente entrare.

Mi limito alla conformità alla normativa comunitaria.

Abbiamo visto che la Corte di Giustizia ha inequivocabilmente sancito che detta disciplina non è conforme al diritto comunitario (C-246-16).

Sappiamo che sempre in base al diritto comunitario il giudice nazionale DEVE:

  1. interpretare il diritto nazionale in senso conforme a quello comunitario;
  2. se non è possibile, disapplicare la normativa italiana ed applicare il diritto comunitario.

A questo punto la domanda sorge spontanea: quando è possibile emettere le note di credito e recuperare l’IVA non riscossa per le procedure concorsuali già aperte alla data del 26 maggio 2021?

La nuova normativa del DL Sostegni-bis non è certamente applicabile alle procedure aperte prima del 2021, perchè alla data di entrata in vigore (26.5.2021) i termini per l’emissione delle note di credito sarebbero stati già scaduti. Se ne potrebbe eventualmente discutere per le procedure aperte nel 2021 fino a quella data, in quanto in tali casi il termine scadrebbe il 30 aprile 2022.

Invece, con la vecchia disciplina occorre attendere l’esito infruttuoso della procedura concorsuale. Ma sappiamo benissimo che la normativa italiana è permeata da questa situazione di non conformità al diritto comunitario.

Già nella relazione illustrativa della legge di bilancio del 2016 (che per prima aveva introdotto un sistema analogo a quello attuale) era riportato che “Tale assetto [il vecchio art. 26 ndr] non appare idoneo a garantire il rispetto di uno dei principi essenziali che presiedono al funzionamento dell’IVA: il principio di neutralità”. Si badi bene che questo accadeva a fine 2015, prima della sentenza C246-16 che risulta pubblicata a novembre 2017. Quindi già allora, prima della sentenza di condanna, il legislatore italiano era a conoscenza della problematica!!!

Lo stesso legislatore nelle schede di lettura accompagnatorie al DL sostegni-bis ha  richiamato quanto sancito dai giudici europei. La stessa Circolare dell’ADE 20/2021 riporta espressamente che “i principi affermati dalla giurisprudenza unionale hanno indotto il legislatore ad intervenire nuovamente sul punto, tramite le modifiche normative in rassegna, al fine di adeguare la normativa interna alla disciplina unionale così come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’unione Europea”.

Quindi abbiamo da un lato il legislatore che ci ricorda che la norma è in contrasto con la Direttiva IVA. Dall’altro abbiamo il DL Sostegni-bis che cerca di risolvere il problema. Ma lo risolve solo in parte, giacché lascia nell’illegittimità tutte le procedure che alla data del 26 maggio 2021 risultavano già aperte. Infatti, prevede che alle stesse continui ad applicarsi la vecchia disciplina.

Ma allora, che disciplina si applica a queste procedure?

A mio avviso, la soluzione la fornisce la stessa sentenza C-246-16 laddove enuncia che sarebbe sufficiente che il soggetto passivo segnalasse “l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque. Spetterebbe quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile”.

La Corte di Giustizia afferma espressamente che è sufficiente provare la ragionevole probabilità del mancato pagamento per poter essere autorizzati ad emettere le note di credito e recuperare in detrazione l’IVA non riscossa (e la Cass. 25896/2020 richiama testualmente detto principio). Quindi, non appare necessario attendere l’esito infruttuoso della procedura concorsuale. Sarà sufficiente attendere il momento in cui sarà possibile affermare con ragionevolezza che il credito non verrà probabilmente riscosso. Pertanto,

  • nel caso di fallimenti dichiarati ante 26/5/2021, potrà farsi riferimento al contenuto delle relazioni semestrali del Curatore. Quando si evince con ragionevole probabilità che il credito non sarà riscosso potranno emettersi le note di credito;
  • nel caso dei concordati preventivi ammessi prima del 26/5/2021, già la sentenza di omologa sancisce l’irrecuperabilità di parte del credito così come accade per le imposte dirette. Per ulteriori recuperi dovrà, anche in questo caso, farsi riferimento alle relazioni degli organi della procedura.

E’ possibile che si finisca in contenzioso, ma non vedo come l’ADE ne possa uscirne vittoriosa.

 4. Conclusioni

Scusatemi, ma Voglio essere polemico. Ho letto tanti articoli sulla materia che illustrano sapientemente come funzionano la vecchia e la nuova disciplina dell’art. 26; altri che si occupano brillantemente dei citati arresti giurisprudenziali sia nazionali che comunitari.

Purtroppo, devo rilevare che raramente si incontra qualche autore che trae le dovute conseguenze, che arriva fino in fondo, che si assuma dei rischi e delle responsabilità. Insomma, che ci metta la faccia. È dal novembre 2017 (data della pubblicazione della sentenza 246-16) che la disciplina dell’art. 26 “è stata dichiarata fuorilegge“, ma ancora si insiste con l’esito infruttuoso delle procedure!

Ovviamente, quanto esposto è tutta farina del mio sacco ed ha lo scopo di sollecitare considerazioni ed approfondimenti, finanche critiche. Poi, sulla base delle proprie convinzioni, ognuno sarà libero di fare le proprie scelte.

Dott. Massimo Cambi


[1]l’articolo 90, paragrafo 1, e l’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa di uno Stato membro, in virtù della quale ad un soggetto passivo viene rifiutato il diritto alla riduzione dell’IVA assolta e relativa ad un credito non recuperabile qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand’anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso” (C-146/2019)

[2]5.1.- Per accordare il diritto alla riduzione della base imponibile, allora, è sufficiente che il soggetto passivo evidenzi l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque (punto 27 della sentenza Di Maura). E ciò proprio perchè la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita, in pratica, solo dopo una decina di anni, a causa della durata, in Italia, delle procedure fallimentari.

Spetta quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del mancato pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità della vicenda”. (Cass.25896/2020)

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