Sulla retroattività o meno della recente riforma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c.
Sulla retroattività o meno della recente riforma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c. in tema di privilegio del credito dei prestatori d’opera intellettuale per rivalsa IVA e per contributo integrativo previdenziale
Il rango privilegiato (con privilegio generale sui mobili) del credito dei prestatori d’opera intellettuale per la rivalsa IVA e per il contributo integrativo previdenziale è stato previsto in termini generali dall’art. 1, comma 474, della l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018), che ha aggiunto nell’art. 2751 bis n. 2 c.c. le parole “compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto”.
In precedenza, a parte il caso (raro) in cui fosse possibile applicare l’art. 2758, II comma, c.c. (che dispone il privilegio del credito per rivalsa IVA “sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio”), il privilegio spettava soltanto ai dottori commercialisti e soltanto per la maggiorazione dovuta per il contribuito integrativo da versare alla cassa previdenziale. Ciò sulla base dell’art. 11, I comma, l. 21/1986 (che dispone: “A partire dall’entrata in vigore della presente legge, tutti gli iscritti agli albi dei dottori commercialisti devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume di affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare, indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore. La maggiorazione è ripetibile nei confronti di quest’ultimo e il relativo credito è assistito da privilegio di grado pari a quello del credito per prestazioni professionali”).
1) Sulla non retroattività della riforma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c.
Non essendovi una norma transitoria, ci si deve chiedere se la riforma dell’art. 2751 bis, n. 2, c.c. possa applicarsi ai crediti sorti in data anteriore all’entrata in vigore della riforma stessa (1-1-2018).
a) Nel senso dell’applicazione di qualsiasi nuova norma introduttiva di un privilegio anche ai crediti anteriori alla sua entrata in vigore viene citato il seguente passo di Corte cost., 04-07-2013, n. 170:
“secondo i principî generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere“.
2) Nel senso opposto va segnalata Cass., sez. un., 20-03-2015, n. 5685:
“le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, che nel caso di specie non sussiste, il principio generale di cui all’articolo 11 preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o abbia introdotto modifiche ad uno già esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere. In tal senso, è appena il caso di soggiungere, che, non trattandosi nel caso di specie di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso“.
Al riguardo va notato che l’affermazione (invero apodittica) della citata sentenza, per cui la norma introduttiva di un privilegio non è norma processuale, appare giustificata dalla rilevanza sostanziale delle norme sui privilegi. Infatti, l’introduzione di un privilegio modifica l’ordine di soddisfazione dei creditori. Al contempo un soggetto, prima di concedere credito (sotto qualsiasi forma negoziale), può trovarsi a valutare la situazione debitoria della sua controparte, e a confidare in un determinato assetto di tale situazione (nella prospettiva di un’eventuale liquidazione concorsuale, o anche semplicemente di un’esecuzione forzata con intervento di una pluralità di creditori).
La modifica retroattiva di tale assetto può quindi avere un impatto negativo ex post sulle conseguenze di scelte contrattuali delle parti creditrici, che vengono a trovarsi in uno scenario (di concorso con altri creditori) diverso da quello conosciuto e tenuto in considerazione al momento dell’instaurazione dei rapporti negoziali col debitore. Ne consegue che un effetto sostanziale di tale importanza non può considerarsi retroattivo come regola generale, e potrà essere stabilito con efficacia retroattiva solo dal legislatore e volta per volta, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di adeguata comparazione degli interessi in gioco; principi messi a fuoco (da ultimo) proprio dalla predetta Corte cost., 04-07-2013, n. 170 (ove vengono richiamati: “il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”).
La recente Cass. civ., sez. I, 01-06-2017, n. 13887, non solo ha ricordato (adesivamente) che:
“Come questa Corte ha gia’ affermato (cfr. Cass., sez. un., 20 marzo 2015, n. 5685), occorre invero fare riferimento al momento in cui il credito sorge, non a quello in cui esso viene fatto valere. Le Sezioni unite hanno, quindi, enunciando il seguente principio di diritto: “In tema di privilegio generale sui mobili, l’articolo 2751-bis c.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, articolo 36 convertito dalla L. 4 aprile 2012, n. 35, laddove accorda il privilegio ai crediti dell’impresa artigiana “definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti”, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l’adozione, sicche’, riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore della novella, resta fermo che l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane L. 8 agosto 1985, n. 443, ex articolo 5 non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di “impresa artigiana” dai criteri generali di cui all’articolo 2083 c.c.” “;
ma si è anche fatta carico di giustificare l’apparente contrasto con la predetta sentenza della Corte costituzionale.
A tale riguardo la Corte di Cassazione ha rilevato quanto segue:
“Né può attribuirsi, in contrario, rilievo al passaggio argomentativo contenuto in una sentenza del giudice delle leggi (Corte cost. 4 luglio 2013, n. 170, secondo cui “secondo i principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere”), in quanto costituente un mero obiter, relativo ad una interpretazione di norme rimessa al giudice ordinario e reso, inoltre, con riguardo ad una disposizione – il Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, articolo 23, comma 40, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111 – che viceversa conteneva la previsione di retroattività“.
Tale rilievo di Cass. 13887/2017 appare corretto, in quanto nel caso giudicato da Corte cost. 170/2013 la legge prevedeva espressamente l’applicazione retroattiva della norma (si legge nella sentenza Corte cost. 170/2013: “Il presente giudizio riguarda, dunque, esclusivamente l’art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40 d.l. n. 98 del 2011, …, nella parte, cioè, in cui dispone l’applicazione retroattiva del nuovo testo dell’art. 2752, 1° comma, c.c., che estende il privilegio ai crediti erariali derivanti dall’Ires (imposta sui redditi delle società) e da sanzioni tributarie relative a determinate imposte dirette“). In particolare, segnalo che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in un caso in cui la retroattività della norma disposta dalla legge giungeva “fino ad influire sullo stato passivo esecutivo già divenuto definitivo, superando così anche il limite del giudicato ‘endo-fallimentare’ ” (Corte cost. 170/2013).
Certo, la sopra riportata affermazione di principio effettuata da Corte cost. 170/2013 contrasta col principio enunciato dalle sopra citate sentenze della Corte di Cassazione (delle quali una perfino a Sezioni Unite). Di fronte a tale contrasto, la prevalenza deve a mio avviso essere attribuita all’interpretazione della Corte di Cassazione, perché è questa il giudice deputato a interpretare la legge, riservandosi invece alla Corte costituzionale lo stabilire se la legge, così come interpretata dal giudice ordinario, sia o meno conforme alla Costituzione. In questo senso si è espressa anche la sopra citata Cass. 13887/2017, laddove afferma che quanto espresso dalla Corte costituzionale (in tema di retroattività dei nuovi privilegi) è “relativo ad una interpretazione di norme rimessa al giudice ordinario”.
In conseguenza, pur con i doverosi dubbi dovuti all’esistenza di un contrasto fra i due predetti supremi organi giurisdizionali, alla luce della giurisprudenza attuale della Corte di Cassazione, espressa anche a Sezioni Unite, ritengo che la riforma dell’art. 2751 bis n. 2 in esame debba applicarsi soltanto ai crediti sorti successivamente alla sua entrata in vigore.
In questo senso si è espresso (con motivazione sintetica che rinvia alla giurisprudenza di cassazione sopra riportata) anche il Tribunale di Milano, con la circolare del 23-1-2018, pubblicata in www.ilcaso.it.
2) Sul momento in cui sorge il credito per rivalsa IVA
Al fine di applicare la suddetta riforma anche ai crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore è stato sostenuto che il credito per rivalsa IVA non sorgerebbe quando matura il credito al pagamento della prestazione professionale. Ai fini IVA il suddetto credito sorgerebbe quando il creditore emette la fattura (tanto è vero che anche l’aliquota IVA applicabile è quella in vigore in tale momento). Da ciò conseguirebbe che ogni credito per rivalsa IVA relativo a fatture non ancora emesse sarebbe posteriore alla riforma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c. e quindi privilegiato.
Tale assunto non è condivisibile.
Ciò che sorge quando il creditore emette la fattura è il suo debito di versamento dell’IVA allo Stato. Viceversa, il suo credito (per rivalsa IVA) verso il cliente/debitore sorge nello stesso momento in cui matura il credito per il pagamento della prestazione svolta. Ciò deriva dalla natura necessaria e contestuale del credito di rivalsa IVA, disposta per legge. Ricordo in questo senso l’art. 18, I comma, del d.p.r. 633/1972: “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”. Da tale norma si evince come al credito del professionista per il corrispettivo si affianchi sempre, ed immediatamente, il credito per la rivalsa IVA.
Tanto ciò è vero che, nella prassi, i professionisti non pagati dai loro clienti agiscono sia in via di cognizione che in via di esecuzione per il corrispettivo dovuto e per la rivalsa IVA, prima della relativa fatturazione (che ai sensi dell’art. 6, III comma, del d.p.r. 633/1972 è dovuta soltanto all’atto del pagamento del corrispettivo); e mai è stato affermato che il credito per rivalsa IVA non sarebbe sorto (e quindi non sarebbe esigibile) per difetto di fatturazione da parte del professionista.
In questo senso v. Cass. civ. [ord.], sez. VI, 17-01-2017, n. 1034:
“Il credito di rivalsa iva di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento, non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art. 111, 1º comma, l.fall., in quanto la disposizione dell’art. 6 d.p.r. n. 633 del 1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura (in alternativa al momento di prestazione del servizio), cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore anche del credito di rivalsa iva, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso”.
Analogamente, Cass. civ., sez. II, 23-07-2013, n. 17876:
“In tema di iva, il prestatore di servizi può emettere la relativa fattura all’atto della ricezione del pagamento o al momento della prestazione del servizio stesso, che costituisce, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore del credito di rivalsa iva, autonomo rispetto alla prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso; tuttavia, il prestatore di servizi non può rivalersi dell’imposta nei confronti del committente senza aver emesso la fattura”.
Tutto ciò comporta che il privilegio disposto dalla recente riforma dell’art. 2751 bis n. 2 c.c. possa essere riconosciuto soltanto ai crediti sorti posteriormente all’entrata in vigore della riforma (1-1-2018).
Lorenzo Scarpelli
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